Programma vs programmazione

L’istituzione scolastica nasce con la funzione nobile di concorrere al progresso materiale e spirituale della società. La funzione nobile della scuola si snoda lungo due canali di formazione del cittadino. Il primo canale concerne le conoscenze supportate dalle abilità cognitive; il secondo canale concerne l’educazione a interagire con il prossimo, nel rispetto delle leggi e di valori condivisi. Questi due canali di formazione concorrono a preparare ingegneri bravi, medici competenti, validi insegnanti, ecc.

In questo primo scritto poniamo la nostra attenzione sul primo canale di formazione del cittadino, cioè quello concernente le conoscenze supportate dalle abilità cognitive.

Dopo centinaia di anni di esperienza, in ogni stato civile la scuola è stata organizzata, in cicli. In Italia questi cicli sono: elementari, medie, superiori, università. Per ogni ciclo l’alunno deve acquisire determinate conoscenze supportate da adeguate abilità cognitive in ogni disciplina scolastica. Conoscenze e abilità cognitive sono state fissate in programmi scolastici, uno per ogni ciclo di studi.

I programmi scolastici, quindi, non sono semplici conoscenze. Queste conoscenze, infatti, devono essere interiorizzate e strutturate in schemi cognitivi. Per verificare se ogni alunno ha acquisito le conoscenze e le abilità cognitive previste dai programmi, sono stati istituiti esami finali, uno per ogni ciclo di studi.

Questa impostazione dell’istituzione scolastica è stata modificata e questa modifica è dovuta dell’ideologia dei diritti umani, a fondamento della Costituzione. Essa ha spinto il legislatore a porre l’attenzione sui singoli alunni, al fine di tutelare i loro diritti.

Si è partiti dall’assunto che ogni alunno è diverso dagli altri per estrazione sociale, per indole, per intelligenza, per attitudine, per capacità cognitive; ognuno di essi, inoltre, si approccia allo studio in modo diverso. Si è riconosciuto come fondamentale il diritto dei ragazzi a poter studiare e apprendere secondo le proprie capacità e attitudini. Questo diritto può essere garantito soltanto se si sostituisce il programma con la programmazione. La programmazione consente, infatti, un approccio individualizzato al processo educativo. Di un alunno dislessico, per esempio, si possono vagliare le specifiche difficoltà e approntare una didattica più funzionale alla sua disabilità linguistica.

Con i programmi, le conoscenze e le abilità cognitive da conseguire sono fissate in modo oggettivo. Esse sono quelle scritte nei programmi e valgono per ogni alunno, a prescindere dalle sue capacità e attitudini. Con la programmazione, le conoscenze e le abilità cognitive da conseguire sono soggettive. Esse dipendono dalle capacità e dalle attitudini di ogni singolo alunno. Con la programmazione si modificano anche i criteri di valutazione. Gli alunni sono giudicati soggettivamente. I criteri di valutazione, infatti, avvengono sulla base delle conoscenze da cui gli alunni partono, delle loro capacità intellettive e dei progressi che realizzano. Con i programmi, invece, gli alunni sono giudicati oggettivamente. I criteri di valutazione, infatti, avvengono sulla base delle conoscenze e abilità cognitive fissate dai programmi. Con la programmazione si avvantaggiano i ragazzi con problemi cognitivi e con gravi carenze nella conoscenza di base. Essi, infatti, possono essere valutati positivamente, anche se fanno lievi progressi.

Occorre porre l’accento sul fatto che i programmi consentono una valutazione oggettiva non solo degli alunni, ma anche dei docenti e dei dirigenti scolastici. Consideriamo una classe alla fine del ciclo di studi di scuola media inferiore. Se pochi alunni di questa classe sono in grado di risolvere problemi sulla geometria dei solidi, l’insegnante di matematica è considerato un incapace. Al contrario, se quasi tutti gli alunni di questa classe sono in gradi di risolvere questo tipo di problemi, l’insegnante di matematica è stimato. Anche il dirigente scolastico è giudicato in modo positivo se gli alunni della sua scuola, alla fine del ciclo di formazione, hanno conseguito gli obiettivi previsti nei programmi delle varie discipline. Eliminati i programmi, non c’è più alcun criterio oggettivo con cui si possono giudicare, premiare o punire alunni, insegnanti e dirigenti. Il giudizio tramite programmazione ha, quindi, grossi risvolti negativi. Esso demotiva alunni, insegnanti e dirigenti. I programmi sollecitano gli alunni allo studio. Sanno che, se non acquisiscono quelle competenze e quei saperi, saranno respinti. I programmi, inoltre, spingono i docenti a essere presenti, ad aggiornarsi. I docenti sanno che, se i loro alunni rimangono ignoranti e incapaci, saranno giudicati incompetenti. I programmi incoraggiano i genitori a interessarsi dei progressi scolastici dei figli. Le mamme e i papà fanno ripetere la storia, aiutano i figli a risolvere i problemi di geometria, ecc…

Eliminati i programmi e inserita la programmazione, si crea un terreno fertile per incapaci e strafottenti. Quegli insegnanti, i cui alunni hanno imparato poco o niente si possono giustificare dicendo che i livelli di base erano carenti. A questi insegnanti nessuno chiederà conto della scarsa preparazione degli alunni. Anche gli alunni sono demotivati: imparano presto che tutti sono promossi; comprendono che studiare è inutile. Anche i genitori si demotivano. Non c’è bisogno di sollecitare i propri figli a studiare; non occorre mandarli a lezioni private.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Adesso gli studenti, alla fine di ogni ciclo di studi, sono meno preparati e hanno minori capacità cognitive rispetto ai loro coetanei degli anni passati. Si parla addirittura di analfabetismo di ritorno.

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