I diritti naturali del giusnaturalismo appartengono a ciascun individuo dalla nascita. Nello Statuto Albertino essi sono stati posti come “limite” alle azioni dei tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Questi tre poteri dovevano agire per l’avvenire glorioso della Nazione (obiettivo) nei limiti dei diritti dei cittadini.
I padri costituenti della Repubblica Italiana, quando hanno redatto l’ordinamento dello Stato, hanno ampliato il concetto di diritto naturale, aggiungendo una seconda categoria di diritti. Si tratta dei diritti non in possesso degli individui. I diritti, già in possesso dei cittadini, non possono essere tolti e costituiscono un limite all’azione dei tre poteri; i diritti, non in possesso, devono essere riconosciuti e garantiti dalla Nazione. Questa seconda categoria di diritti è diventata, nella Costituzione Repubblicana, obiettivo dei tre poteri dello Stato. Chiamiamo “diritti obiettivo” i diritti non in possesso e “diritti limite” i diritti già in possesso.
Secondo le norme costituzionali, i tre poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, nel loro agire, devono prefiggersi due obiettivi: il bene della Nazione e il riconoscimento/garanzia dei diritti umani. Nell’articolo 3) della Costituzione Repubblicana è scritto:… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando, di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …. In quest’articolo, è enunciato uno degli obiettivi cardini dei tre poteri dello Stato: il pieno sviluppo della persona umana. L’unico obiettivo delle norme costituzionali dello Statuto Albertino era l’avvenire glorioso della Nazione. Il potere giudiziario, quindi, nello Statuto Albertino, doveva agire esclusivamente nell’interesse della comunità nazionale.
Una comunità si fonda sulle leggi che regolano i rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e le istituzioni. Il potere giudiziario è definito come “il potere che ha il compito di attuare e conservare l’ordine giuridico, attraverso l’interpretazione e l’applicazione della legge”. Questo potere, assieme agli altri due poteri, tutela la comunità. Lo fa, garantendo il rispetto delle leggi che rendono la comunità coesa. Senza leggi, infatti, la comunità cessa di esistere. Questo potere si esercita attraverso la punizione. Chi non rispetta le leggi è punito. La punizione non è una vendetta dello Stato. E’ un deterrente. Per paura della punizione dello Stato, una persona è distolta dal delinquere.
Nel punire il colpevole, il potere giudiziario non ha potere assoluto. La punizione deve essere proporzionata alla gravità del reato. Il potere giudiziario ha un altro limite. Si tratta delle circostanze in cui agisce chi commette un reato. Nella figura 1) è illustrata l’azione del potere giudiziario. Questo potere agisce per il bene della Nazione, punendo chi non rispetta le leggi, nei limiti delle circostanze (attenuanti o aggravanti).

Come abbiamo scritto, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, è obiettivo della Repubblica. Se una persona commette reato in un contesto di povertà e/o degrado sociale, non è pienamente responsabile della sua azione. Una parte di responsabilità va attribuita allo Stato che non ha rimosso gli ostacoli, come previsto dalle norme costituzionali. Il contesto in cui vive il colpevole acquista valore per la gravità della pena. Più disagiato è il contesto, maggiori sono le circostanze attenuanti, e meno grave è la pena.
Per rispettare le norme costituzionali, il sistema carcerario deve essere organizzato in modo tale che siano riconosciuti e garantiti i diritti umani e il pieno sviluppo della persona. Il colpevole sconta la pena con la privazione della libertà. Nel penitenziario, però, deve essere trattato con umanità e si deve cercare di recuperarlo alla comunità. Nelle carceri italiane è difficile riuscire a rispettare i dettami costituzionali sui diritti umani. Le carceri, infatti, sono sovraffollate e i costi dell’intero sistema lievitano continuamente. Per questo motivo, numerosi reati sono stati depenalizzati e la pena detentiva è stata sostituita con una pena pecuniaria.
Ogni azione che noi compiamo, ne vagliamo le conseguenze positive e negative. Eseguiamo l’azione se le conseguenze positive prevalgono su quelle negative. La punizione del cittadino che non rispetta le leggi rientra in questo meccanismo costi/benefici. Se il costo dell’azione criminosa è alto, il beneficio deve essere altrettanto alto per rischiare. La norma costituzionale, secondo cui lo Stato deve garantire il pieno sviluppo della persona, entra in gioco in questo rapporto costi/benefici. Chiunque vive in una situazione di povertà e/o degrado sociale, se commette un crimine, rischia poco. La sua condizione, infatti, costituisce un’attenuante. Se è condannato a una pena pecuniaria, essendo indigente, non la paga. Infine, anche se va in carcere, gli devono essere garantiti tutti i diritti e il pieno sviluppo della persona. Le conseguenze dell’abbassamento dei costi di un crimine fa aumentare i delitti.
Aver inserito, nella Costituzione Repubblicana, i diritti umani come obiettivo delle istituzioni, impedisce alla Nazione di adempiere uno dei suoi compiti primari: il controllo del territorio. Lo Stato si trova nella quasi impossibilità di punire in modo adeguato chi commette un qualsiasi crimine, in particolare se questa persona vive in uno stato di povertà. Con l’arrivo in Italia di centinaia di migliaia di stranieri è aumentato a dismisura il numero degli indigenti, tutelati dalle norme sui diritti umani. In molte zone dell’Italia lo Stato non riesce più a controllare il territorio. Le organizzazioni criminali italiane e straniere, come la mafia nigeriana, la fanno da padrone. Spacciatori di droga nelle periferie delle città reiterano i loro crimini nella piena impunità.