I diritti naturali del giusnaturalismo appartengono a ciascun individuo dalla nascita. Nello Statuto Albertino essi sono stati posti come “limite” alle azioni dei tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Questi tre poteri dovevano agire per l’avvenire glorioso della Nazione (obiettivo) nei limiti dei diritti dei cittadini.
I padri costituenti della Repubblica Italiana, quando hanno redatto l’ordinamento dello Stato, hanno ampliato il concetto di diritto naturale, aggiungendo una seconda categoria di diritti. Si tratta dei diritti non in possesso degli individui. I diritti, già in possesso dei cittadini, non possono essere tolti e costituiscono un limite all’azione dei tre poteri; i diritti, non in possesso, devono essere riconosciuti e garantiti dalla Nazione. Questa seconda categoria di diritti è diventata, nella Costituzione Repubblicana, obiettivo dei tre poteri dello Stato. Chiamiamo “diritti obiettivo” i diritti non in possesso e “diritti limite” i diritti già in possesso.
Nella Costituzione Repubblicana sono presenti due obiettivi: il bene della Nazione e il riconoscimento/garanzia dei diritti umani. Questo genera conflitti. E’ evidente che se il legislatore promulga una legge per riconoscere e garantire un diritto, può, nel frattempo, andare contro il bene della Nazione. Analogamente, se promulga una legge per il bene della Nazione, può ledere un diritto. I nostri padri costituenti, inoltre, hanno inserito nella carta costituzionale, numerosi “diritti obiettivo” nazionali e transnazionali che le istituzioni devono riconoscere e garantire. Questo ha generato uno squilibrio a vantaggio dei “diritti obiettivo” e a svantaggio del bene della Nazione.
Per evitare il conflitto tra bene della Nazione e diritti del singolo occorre eliminare i “diritti obiettivo” dalla carta costituzionale e lasciare soltanto i “diritti limite”. L’obiettivo, quindi, rimane soltanto uno: il bene della Nazione. Questo crea un problema. In una società complessa e ricca, infatti, si ritiene giusto che la comunità si faccia carico dei bisogni dei singoli cittadini. Se ogni legge deve avere come obiettivo il bene della comunità, devono essere escluse le leggi realizzate a vantaggio dei singoli. Per risolvere questo problema, facciamo riferimento ai due concetti aristotelici di potenza e atto. Aristotele affermava che il seme può diventare albero. Da albero in potenza può diventare albero in atto. Il passaggio da potenza ad atto è un cambiamento dello stesso “ente”.
Possiamo riferire questi concetti a “enti diversi”. Supponiamo che Tizio sia malato e che Caio sia sano. Qualsiasi persona sana può ammalarsi; quindi Caio è un “malato potenziale”. In conclusione, Tizio è malato e Caio è “malato potenziale”. Un efficiente sistema sanitario non solo è un bene per chi è malato, ma lo è anche per i sani (malati potenziali). A livello fattuale, un efficiente sistema sanitario è vantaggio dei singoli malati ed è uno svantaggio per i sani che concorrono ad affrontarne le spese. Ma, a livello potenziale, un efficiente sistema sanitario è a vantaggio di tutti i cittadini. Anche i soni, infatti, sono potenziali malati.
Partendo da questo ragionamento, è interesse di tutta la popolazione avere un sistema sanitario efficiente, avere un sistema di protezione civile efficiente, un sistema pensionistico efficiente. Un terremoto o un’alluvione può colpire qualsiasi città o paese italiano. Chiunque di noi, se ha la fortuna di vivere abbastanza, arriva all’età pensionabile. Anche le cure e l’assistenza ai disabili rientrano nei concetti di potenza e atto. Chiunque nella popolazione può avere figli disabili. Chiunque, per un incidente, per una malattia, può diventare disabile e avere gravi difficoltà nella vita sociale. Se lo Stato si prende cura dei disabili, avvantaggia anche i potenziali disabili e i loro parenti, cioè tutti i cittadini.
I concetti di potenza e atto riferiti a soggetti diversi ci consentono di eliminare i “diritti obiettivo”. Il singolo cittadino non ha diritto alla cura delle malattie. Ciascun cittadino è curato perché è interesse dell’intera comunità avere un sistema sanitario che funzioni al meglio. La cura della malattia del singolo discende dal suo appartenere alla comunità nazionale, non da un suo diritto naturale. Analogamente un terremotato non ha diritto alla casa. A ciascun terremotato è assegnato un alloggio perché appartiene alla comunità nazionale che ha interesse al buon funzionamento della protezione civile.
Lo Stato, che elimina i “diritti obiettivo”, non ha alcun dovere verso le persone che non appartengono alla comunità italiana. Ciò che accomuna italiani e stranieri sono i diritti limite. A chi entra clandestino in Italia, non possono essere lesi i “diritti limite”; ma costui, analogamente agli italiani, non ha alcun “diritto obiettivo”. Non ha diritto all’assistenza sanitaria, a vitto, alloggio e patrocinio legale gratuito.
Se noi eliminiamo i “diritti obiettivo” e li sostituiamo con un moderno sistema previdenziale (sanitario, di protezione civile, pensionistico, …), le tasse, che i cittadini pagano, sarebbero funzionali al benessere dell’intera comunità nazionale. In tale situazione, chiunque lavora onestamente in Italia può condurre un’esistenza serena. Vivere in Italia diverrebbe un privilegio.
I “diritti obiettivo” presenti nella Costituzione Repubblicana, fanno sì che i più poveri hanno più diritti degli altri. Garantire i diritti degli “ultimi” nella scala sociale diventa obiettivo primario delle Istituzioni. Di questa situazione si avvantaggiano gli stranieri, che sempre più numerosi vengono in Italia per sfruttare il nostro welfare.
L’eliminazione dei “diritti obiettivo” ci consentirebbe di smantellare i campi Rom; ci consentirebbe di espellere i clandestini e di impedire l’arrivo in Italia di migliaia di migranti. Queste persone non sarebbero detentrici di diritti innati che lo Stato italiano deve riconoscere/garantire. I tre poteri dello Stato non avrebbero alcun dovere nei loro confronti. L’unico dovere dei tre poteri dello Stato sarebbe solo quello di perseguire il bene della Repubblica Italiana.