Gli eventi della vita quotidiana suscitano in noi emozioni che possono essere piacevoli o spiacevoli. Possiamo considerarle come un colore che avvolge gli eventi e che determina la nostra reazione. La reazione istintiva nel contesto sociale in cui viviamo spesso è inappropriata. Per questo motivo, dobbiamo imparare a controllare le nostre emozioni adattandole al contesto sociale.
Il bambino impara a gestire le proprie emozioni nel rapporto superiore/subordinato che ha con i genitori e nel rapporto inter pares con i fratelli e i compagni. La relazione tra la madre e il figlio e tra il padre e il figlio si modifica nel tempo conformandosi allo sviluppo cognitivo del bambino e alle consapevolezze dei genitori. Giorno per giorno, i genitori conoscono meglio il figlio, ne anticipano i turbamenti, le gioie, i dolori; ne colgono i pensieri inespressi. Sulla base di queste consapevolezze, sempre nuove e mutevoli, interagiscono con il figlio. La relazione genitore/figlio avviene attraverso un canale di comunicazione in cui passano i nutrienti dell’animo, fondamentali allo sviluppo della personalità del bambino.
I nostri padri costituenti hanno voluto garantire ai minori il diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione. Per tale motivo hanno scritto due articoli. Nel primo si stabilisce che è dovere dei genitori garantire questi diritti ai figli. Nel secondo si afferma che, in caso di inadempienza dei genitori, questi diritti saranno garantiti da istituti creati appositamente. L’articolo 30 dei RAPPORTI ETICO-SOCIALI della Costituzione Repubblicana recita: è dovere e diritto dei genitori, mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio. Nel caso d’incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. Nell’articolo 31 è scritto: La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo. In conformità a questi due articoli, ai genitori, giudicati incapaci, possono essere tolti i figli che sono mandati in istituti dove sono protetti. In questi istituti si provvede al loro mantenimento, alla loro istruzione e educazione.
Questi due articoli della Costituzione, sono scritti avendo come riferimento ideologico i diritti umani. Gli ideologi dei diritti umani non considerano la comunità. Per loro la comunità non esiste. Esistono singoli individui aventi diritti e singoli individui che questi diritti devono garantire. Il minore, però, fa parte di una comunità che è la famiglia. Egli sviluppa in modo armonico la sua personalità come membro della famiglia. La famiglia soddisfa il bisogno innato del bambino di sentirsi parte di una comunità. Senza la famiglia, il bambino perde sicurezza, diventa più fragile, più insicuro. Non si può tutelare il minore sottraendolo alla famiglia cui appartiene.
Secondo l’articolo 30, il ruolo dei genitori è di mantenere, istruire e educare i figli. Questa è una visione riduttiva di questo ruolo. Nel ruolo di genitore c’è molto di più del semplice mantenimento, istruzione e educazione. C’è il senso di appartenenza alla famiglia, la consapevolezza di essere amato, di valere, il bisogno di amare, il senso di sicurezza, la tranquillità dell’animo, … Tutto questo non lo possono dare estranei in un istituto. Lo possono dare solo i genitori nel nucleo familiare. Dopo aver ridotto il ruolo dei genitori al mantenimento, istruzione e educazione, si afferma che possono essere sostituiti da estranei senza causare danni alla personalità del minore. Questa convinzione contrasta con decenni di studi e ricerche di psicologia evolutiva.
Come già scritto, l’articolo 31 della Costituzione invita il legislatore a realizzare istituiti (case famiglia) dove i minori, tolti ai genitori, sono mantenuti, istruiti e educati. Gli operatori di questi centri, sparsi in tutta l’Italia, hanno interesse economico a sottrarre bambini ai genitori. Per tale motivo, la GESEF (associazione genitori separati dai figli) stima che siano 40mila i bambini in Italia allontanati dalla propria famiglia. In molte occasioni il provvedimento non sarebbe dettato dall’eccezionalità del caso, ma rappresenterebbe una “triste prassi che alimenta un circuito economico di milioni di euro”.
Gli articoli 30 e 31 della Costituzione, di fatto, introducono il concetto di “reato indeterminato”. Ai genitori, infatti, possono essere sottratti i figli se non possono garantirne l’educazione. Qualsiasi genitore può essere giudicato colpevole di non saper educare il figlio. Non esistono parametri oggettivi che consentono di valutare chi è un bravo educatore e chi non l’è. Nessun genitore sa quali azioni compiere e quali evitare per non essere giudicato inadatto a educare i propri figli.
La Costituzione, che ha posto a fondamento della Repubblica l’ideologia dei diritti umani, getta le basi per leggi che disgregano la famiglia. Sono stati inseriti estranei a mediare e giudicare il delicato rapporto genitori/figli. Spesso, queste persone non hanno figli e le loro competenze si riducono a nozioni lette su testi di psicologia.
Occorre riscrivere la Costituzione e porre a fondamento della Repubblica il progresso materiale e/o spirituale della società. I genitori hanno il dovere di educare i figli a essere cittadini rispettosi delle leggi. Decidono loro il percorso di questo processo formativo. Soltanto loro conoscono a fondo i propri figli, ne comprendono i bisogni, le ansie, le aspettative, ecc.. Compito dello Stato è tutelare la comunità famiglia. Compito dello Stato è rimuovere gli ostacoli che impediscono ai genitori lo svolgimento di questo delicato ruolo. Lo Stato deve agire contro uno o ambedue i genitori solo in casi eccezionali di conclamata violenza.