L’agnosia appercettiva

Si ritiene che la percezione degli “enti esterni” avvenga attraverso un processo di elaborazione sensoriale dei dati provenienti dai diversi recettori sensoriali. L’elaborazione di queste informazioni a scopo percettivo si conclude nelle aree percettive primarie (corteccia somatosensitiva primaria, corteccia visiva primaria, corteccia uditiva primaria, ecc.). Danni ad aree corticali superiori (corteccia associativa e corteccia parietale) non generano disturbi percettivi, ma di riconoscimento. Si parla in questo caso di agnosie.

Lissauer (1890) differenziò due tipi di agnosia: agnosia appercettiva e agnosia associativa. La prima è generata da lesioni parietali; la seconda è generata da lesione nelle aree associative. Per Lissauer, l’agnosia appercettiva è un disturbo concernente l’integrazione dei dati sensoriali elementari in forme complesse e strutturate. Il disturbo associativo nasce da una disconnessione tra la rappresentazione percettiva dell’oggetto (forma complessa strutturata) e le conoscenze immagazzinate relative agli oggetti conosciuti.

Secondo questa ipotesi, nelle aree primarie avviene la percezione di dati sensoriali elementari. Questi ultimi sono strutturati in forme complesse nella corteccia parietale. Queste forme complesse (oggetti) sono riconosciute nella corteccia associativa.

Questa descrizione schematica del processo di riconoscimento di stimoli visivi è ancora oggi accettata, anche se i vari livelli di integrazione dei dati sensoriali elementari (concernenti la corteccia parietale) sono stati descritti più approfonditamente.

Nello scritto precedente, “la percezione delle grandezze”, abbiamo formulato l’ipotesi che l’atto percettivo sia una misurazione di grandezze spaziali e temporali, realizzato da un “organo” capace di generare grandezze da utilizzare come strumento di misura. L’atto percettivo è funzione del sistema eracliteo ed è realizzato da circuiti premotori/parietali. Secondo questa ipotesi, l’agnosia appercettiva è un disturbo percettivo e non di riconoscimento. La corteccia parietale, quindi, raccoglie ed elabora dati sensoriali funzionali alla percezione, non al riconoscimento.

Silvio Ceccato, nello studio dei processi attenzionali, suggeriva di considerare, come strumento attenzionale, le mani piuttosto che gli occhi. I movimenti delle mani, infatti, sono facilmente percepibili e di facile intuizione; al contrario, i movimenti oculari sono complessi e di difficile interpretazione. Accogliamo il suggerimento di Ceccato e analizziamo la percezione, soffermandoci sulla percezione tattile, piuttosto che su quella visiva.

Le grandezze spaziali possono essere unidimensionali, bidimensionali e tridimensionali. Ogni grandezza è formata da due spazi. Si tratta di uno spazio delimitante e di uno spazio delimitato. Lo spazio delimitante ha una dimensione in meno dello spazio delimitato. Lo spazio delimitante è costituito da una o più facce.

Per percepire una grandezza unidimensionale esterna occorre utilizzare un organo motorio capace di generare una grandezza unidimensionale con cui eseguire la misura. Analogamente, per percepire grandezze bidimensionali e tridimensionali esterne, occorre utilizzare un organo motorio capace di generare grandezze bidimensionali e tridimensionali con cui eseguire la misura.

Il nostro organo motorio utilizza le due mani che si muovono in modo coniugato, cioè come se fossero un solo organo. La superficie ventrale delle due mani è la faccia o le facce che delimitano la grandezza. Le due facce sono sostanziali e la grandezza è virtuale (lo spazio vuoto tra le due facce).

Le due mani sono utilizzate come grandezze unidimensionali, bidimensionali e tridimensionali secondo la grandezza da percepire.

Supponiamo di voler percepire la larghezza di un tavolino. Utilizziamo le due mani come una grandezza unidimensionale formata da due facce a dimensione zero che delimitano uno spazio virtuale unidimensionale. Allarghiamo le mani per tutta la larghezza del tavolino, toccandolo con due dita alle due estremità. I due punti di contatto sono le due coppie di facce delimitanti del tavolo e delle mani. La grandezza del tavolo è data dalle due facce delimitanti (i bordi toccati) con lo spazio sostanziale delimitato. Questa grandezza è analoga all’ampiezza di apertura delle mani (strumento di misura). In basso figura 1) sono illustrate le due grandezze unidimensionali, delle mani (strumento di misura) e del tavolo. Ciascuna grandezza è formata da due facce delimitanti a dimensione zero e uno spazio delimitato unidimensionale.



Figura 1) Percezione della larghezza del tavolino. Col palmo dei diti indici delle due mani tocchiamo i due bordi del tavolino. Con questo gesto, misuriamo (percepiamo) la sua larghezza. La distanza che separa i due palmi è uno spazio unidimensionale corrispondente  allo spazio unidimensionale da un bordo all’altro.

Supponiamo di voler percepire la superficie del tavolino, utilizzando le due mani. Per il sistema eracliteo è una grandezza bidimensionale delimitata da una faccia unidimensionale (perimetro). Per realizzare questa percezione occorre delimitare con i palmi delle due mani (facce unidimensionali) un’area virtuale (bidimensionale) che è la misura della grandezza della superficie del tavolino.

Possiamo con i diti indici delle due mani partire da un angolo del tavolo e percorrerne il perimetro in direzioni contrapposte fino a quando i due diti s’incontrano nell’angolo opposto. Il perimetro percorso delimita uno spazio virtuale bidimensionale, analogo allo spazio sostanziale bidimensionale del tavolino. Con questo gesto misuriamo (percepiamo) la superficie del tavolo (figura 2).


Figura 2) Percezione della superficie del tavolino. Col palmo dei diti indici delle due mani, partendo da un angolo (cerchietto nero), percorriamo in direzione inversa il bordo del tavolino fino a quando i due diti s’incontrano nell’angolo opposto (cerchietto rosso). Con questo gesto, misuriamo (percepiamo) la grandezza della superficie del tavolino. Lo spazio bidimensionale virtuale, delimitato dal perimetro percorso dai diti,  corrispondente  allo spazio bidimensionale della superficie del tavolino.

Supponiamo di volere percepire un oggetto tridimensionale (figura 3). Questa figura è, per il sistema eracliteo, una grandezza tridimensionale delimitata da una superficie virtuale bidimensionale. Tastiamo l’oggetto con ambedue le mani. I palmi delle due mani sono una superficie bidimensionale che delimita uno spazio virtuale tridimensionale. Lo spazio virtuale tridimensionale delimitato dai palmi delle mani corrisponde allo spazio sostanziale tridimensionale dell’oggetto. Il primo è misura percettiva del secondo.



Figura 3) Percezione della grandezza di un oggetto tridimensionale. Col palmo delle due mani, tastiamo l’oggetto. Con questo gesto, misuriamo (percepiamo) la grandezza volumetrica dell’oggetto. Lo spazio tridimensionale virtuale, delimitato dal palmo delle due mani, corrispondente  allo spazio tridimensionale dell’oggetto.

Soffermiamoci sulla stereoagnosia. La stereoagnosia è definita come incapacità di riconoscere un oggetto utilizzando esclusivamente il tatto. È chiamata anche agnosia tattile, perché si riferisce all’impossibilità di riconoscere un oggetto esclusivamente per mezzo del contatto. La stereoagnosia tattile di origine corticale può manifestarsi sul lato destro o a sinistro del corpo, come conseguenza delle lesioni localizzate a livello del lobo parietale dell’emisfero controlaterale: la manifestazione sarà sul lato destro, se si verificano lesioni del lobo parietale sinistro (o delle proiezioni talamo-corticali) nei soggetti destrimani e nella maggior parte dei mancini, per un coinvolgimento di un’area specifica del lobo parietale, situata nel giro post centrale; se la lesione coinvolge il lobo parietale dominante, provoca l’incapacità di riconoscere con il tatto di entrambe le mani gli oggetti, mentre se è del lobo non dominante, riguarda prevalentemente la mano controlaterale.

Riteniamo che la stereoagnosia sia un disturbo percettivo e non di riconoscimento.

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